“Eccoci qui, ancora soli. C’è un’inerzia, in tutto questo, una pesantezza, una tristezza… […] e la sarà finita, una buona volta. Gente n’è venuta tanta, […] Tutti han detto qualcosa. Mica m’han detto gran che. Se ne sono andati.”
Questo è il principio di uno dei miei libri preferiti, che non schiodo mai dal ripiano del mio comodino. Sta sempre là e nel frattempo le ore, astute quali sono, riescono ad escogitare un ratto coi fiocchi del mio tempo. Passano i mesi, col susseguirsi delle giornate evolve sempre più un freddo pungente e battagliero, pronto a sferzare il vento freddo sulla pelle e a incupire l’umore con un grigiore tanto apatico da neutralizzare all’istante qualsiasi scintilla positiva. E devo dire che quest’anno l’inverno ha avuto la meglio e sono consapevole della mia sconfitta proprio per il fatto che quel maledetto libro sta ancora là, sul comodino. Sollevo la copertina e leggo in un loop infinito queste poche righe. Rispecchiano ogni giornata in modo eccezionale. Avverto chiaramente un senso di fine, ed è una vera tortura. Distolgo lo sguardo dalla prima pagina dell’opera di Céline e ripercorro minuziosamente tutte le sagome della mia camera: a breve non sarò più qui. Come accennavo poc’anzi, mi sento vittima di una rapina bell’e buona. Il calendario segna dicembre, il mese che non avrei mai voluto arrivasse. Mi pare di essermi destata oggi per la prima volta dopo un interminabile letargo, nel quale ho voluto a tutti i costi occultare il fatto che sarebbe arrivato il momento di levare le tende. Ma ormai i giorni si contano sulla dite di una mano, e io devo fare i conti con la realtà: me ne devo andare. Spero solo di non tornare più in quella casa dell’orrore che mi ricorda tanto il film di Profondo Rosso per quanto è tetra, ma considerando la forte urgenza che ho di trovare un tetto, temo per me e per il mio sonno particolarmente sensibile e poco incline agli ambienti ostili che ci riabiterò presto. Siamo soggetti a continui cambiamenti nella vita, alle volte più radicali, altre invece sono semplici modifiche della nostra routine. Personalmente parlando, da quando mi son diplomata, non credo di essermi fermata più di sei mesi in uno stesso posto. È davvero frustrante. Ma ciò che mi disturba e destabilizza maggiormente è che, dopo tutti questi cambi di rotta, io mi debba sempre ritrovare faccia a faccia con questa fase. È il momento più tragico in assoluto, perché prendi coscienza di tutto ciò che stai lasciando e del futuro roseo che ipoteticamente ti si prospetta innanzi, neanche l’ombra. Dio solo sa cosa darei per riavvolgere il nastro per riassaporare tutte le risate e scrivere nella mia mente per filo e per segno tutte le chiacchiere che purtroppo vanno dimenticandosi. Sono certa che quest’ultimo percorso in particolare – l’unico durato effettivamente ben più della media stimata qualche rigo in su – mi stia facendo passare le pene dell’inferno, ce la sta mettendo tutta per farmi sentire in colpa: è come una piccola bestiola in procinto di essere abbandonata sul ciglio della strada, che si mostra tanto docile e svela una dolcezza disarmante. Tutti qui negli ultimi tempi mi stanno disarmando, ricordandomi che persone d’oro sto abbandonando sul ciglio – in questo caso – dei binari, dopo un anno e mezzo.