Oggi è stata una giornata con almeno una decina di ore in più, si è protratta per oltre le solite 24 ore. Non ho combinato molto, ma quel poco che ho fatto ha occupato decisamente parecchio tempo. Ho partecipato ad una prima selezione per un lavoro: il requisito richiesto a chiunque era la disponibilità ad essere collocati in qualsiasi sede italiana che abbia bisogno di personale. A prima vista la cosa non mi preoccupava affatto, anzi, ero super euforica all’idea di abbandonare tutto quanto e finire chissà dove per diversi mesi, forse un anno, per essere poi spedita da tutt’altra parte e via discorrendo. Arrivata a casa però, sfatta com’ero, mi sono lasciata andare sul letto. Ho un particolare feeling con il mio piccolo nido qui a Verona, quando mi addormento è sempre un mistero scoprire se mi sveglierò o crollerò in un coma eterno. Lo adoro come nessun altro. Fatto sta che appena ho messo a riposo il corpo, la mia mente è partita ai cento all’ora e non si è più fermata: ha iniziato a prendere piede per davvero l’idea di andare via. E con ciò anche l’allontanarsi dal mio modesto numero di amici ma a che sono più che importanti, dalla mia amatissima famiglia, dall’università che mi sta concedendo qualche piccolo successo, dalle mie coinquiline con cui ho stretto un legame troppo speciale per mandarlo a farsi fottere dopo solo sei mesi, da Verona che mi sta dando un’altra chance per far funzionare la mia vita, da te a cui mi sono seduta a fianco qualche giorno fa a lezione. E proprio quando nel mio proiettore mentale è apparso il tuo viso, l’immagine che hai come profilo su Facebook che cerco sovente, non sono più riuscita a procedere con le mie slide fittizie e ho direttamente spento. Anzi, credo sia addirittura saltata la corrente per sovraccarico di emozioni. E quindi che fare? Vado a letto così.